Ristorante

Esplorare la cucina di un territorio senza guardarsi intorno è come vivere a metà

 

Imperia

“Silenzio, parla Agnesi!” è lo slogan che sembra riecheggiare sul porto di Oneglia, alla vista della grande fabbrica, che proprio lì si affaccia, su cui campeggia un’insegna gigante: Agnesi, appunto.
E chi non la ricorda quella pubblicità televisiva che negli anni ’80 ci ha regalato un motto che abbiamo fatto nostro, intercalandolo nel discorrere quotidiano!
Poco più in là  quella che è stata la sede della Sasso con il logo in bassorilievo sullo stabile a imperitura memoria di quella presenza così familiare sulle tavole degli italiani.  E, sempre nei paraggi, imbattersi, passeggiando verso il Molo Lungo, nel monumento ad Alessandro Natta e al suo impegno politico e scoprire che, lì vicino, Porto Maurizio ha dato i natali a un altro Natta, Giulio, l’illustre scienziato premio Nobel per la chimica nel 1963.
Un concentrato di peculiarità che fa alzare le antenne e chiedersi cos’altro celi questa zona, ancora troppo poco conosciuta, che ha tutta l’aria di avere una natura a dir poco vivace. Un fugace scambio di battute con un anziano del luogo è sufficiente per alimentare a dismisura quella curiosità appena abbozzata, “In questa provincia se ne sono viste e se ne vedono delle belle, nel bene e nel male! Ce ne sarebbe da raccontare…”

A questo punto non resta che fare ricerca e la fortuna vuole che ci imbattiamo in curioso libro, Imperia segretadi Giorgio Bracco e Maurizio Vezzaro, due acuti giornalisti rispettivamente del Secolo XIX e de La Stampa, che non esitano a definire Imperia “ città strana, capace di cadute precipitose ma anche di slanci improvvisi e resurrezioni, in tutti gli ambiti, da quello sportivo a quello industriale”. D’altra parte, fanno notare gli autori, Imperia è una città dai due volti, proprio perché frutto della fusione di quelli che all’epoca erano due comuni, Oneglia e Porto Maurizio, vicinissimi fra loro ma dotati di un’identità ben precisa, avendo all’epoca i loro due teatri, due convitti, due prefetture, due agenzie del tesoro, due patroni, due porti – l’uno commerciale e l’altro turistico. “Dicotomia che non ha mai cessato di esistere. - raccontano Bracco e Vezzaro - Anche quando Oneglia e Porto Maurizio sono diventati due quartieri di Imperia. Ora, un simile variegato contesto è stato attraversato da nomi e vicende non immaginabili. Basti pensare, per esempio, che ben tre geni del calibro di Renato Dulbecco (premio Nobel per la medicina), il già citato Giulio Natta e Luciano Berio (ha rivoluzionato la musica del Novecento, pioniere dell’elettronica e della cacofonia) hanno frequentato il locale liceo classico De Amicis, che, a ragione, è considerato un’autentica istituzione. Ci sono anche progetti grandiosi come quello su Porto Maurizio che sarebbe dovuto decollare come un porto in grado di fare concorrenza a Valencia o Barcellona e che invece è rimasto un’opera incompiuta, peraltro anche molto tormentata. Ci sono state aziende importanti (in primis i fratelli Agnesi con il loro grandioso Molino a vapore) capaci di fare la fortuna del porto di Oneglia per poi toglierle benzina dislocando lo stabilimento altrove”.
E si potrebbe continuare con molti altri esempi in un’altalena emozionale che è di pochi luoghi.
Ma torniamo a Oneglia, che oggi non fa più comune, ma, come dicevamo è solo un quartiere di Imperia, eppure nell’immaginario collettivo risulta meglio messa a fuoco della stessa Imperia, certamente per il ruolo che ha avuto come capitale della pasta e per quel suo essere, ancora oggi, patria dell’extravergine di oliva per via della sua pregiata oliva taggiasca.

Osteria Da Bea

Ecco, è proprio qui che concentriamo il nostro sguardo, in particolare su quei portici che corrono lungo la banchina e che pullulano di localini con vista sul dirimpettaio Porto Maurizio.
Giuseppe Vicari è un ristoratore di lungo corso, uno che ha fiutato i cambiamenti, leggendo i bisogni dei tanti clienti che si è fatto e ha saputo portare con sé negli anni, attraverso le evoluzioni della sua attività: “Tutte le famiglie di Imperia sono passate dai miei locali e in tanti ancora mi stanno seguendo” racconta con quel modo affabile ma asciutto, di chi non ama ricamarci molto intorno. C’è un aneddoto eloquente di quando gestiva la Spaghetteria in piazzetta “Nel 2006 – ci racconta lui stesso – due ristoratori di Finale Ligure mi hanno portato a pranzo Gualtiero Marchesi. Il locale lavorava tanto e anche quel giorno avevo un centinaio di persone da servire. Nella velocità del lavoro al momento di prendere l’ordine gli dico, testuali parole ‘Il vino? Bianco, rosso o verde?” e lui ‘Finalmente qualcuno che non rompe le scatole!’ Ha ordinato un piatto di gnocchi al pomodoro e basilico e un bicchiere di rosso, nessuna richiesta capricciosa e, come nel suo stile, una bella lezione!”.

Oggi Giuseppe, che per tutti è Beppe, è al timone di Da Bea, il ristorantino della sua maturità professionale, vale a dire l’esito di un percorso che in provincia lo ha visto spesso pioniere. A inizio anni 2000 i primi aperitivi non al banco ma seduti al tavolo li ha serviti lui, e quanti signori e signore gradendo la formula sono accorsi a riempire il locale, che sfornava anche 600/700 aperitivi al giorno. Ma torniamo a Da Bea che, va detto, ha un filo diretto con il pesce freschissimo grazie ai pescherecci frontisti che lo riforniscono di pesce azzurro, le acciughe in particolare, e il vicinissimo mercato dell’asta di Imperia (a soli 300 mt dal locale) dove Beppe – fra gli altri pesci-  predilige polpi, ombrine ma anche moroni, “le ricciole di profondità” con pelle scura e carne bianca (al contrario della ricciola) “che non tutti vogliono trattare perché è un pesce che solca i fondi marini appunto, ma basta non usare lo stomaco. La sua carne dolce e delicata è molto interessante” ci spiega. Lui lo serve anche semplicemente in carpaccio con melograno. Quando ha bisogno di approvvigionarsi nel fine settimana, frequenta anche l’asta di Savona, operativa pure il sabato e la domenica mattina.

Quanto ai piatti che propone cerca di rimanere fedele a quella che per lui è una regola: abbinare il pesce ai prodotti della terra. Ed essendo questa terra ricca e non mancando a lui la fantasia, le declinazioni diventano tante tra sformato di trombette e acciughe fritte; polpo fagioli bianchi (in zuppetta); spadellata di totani, gamberi e verdure; vellutata di zucca con calamaretti alla piastra; insalata di stoccafisso con verdure di stagione, broccoli viola, acciughe, olive e pinoli e altro ancora.
Che colpisce, nella cucina di Beppe, è la leggerezza dei piatti e pure quei sapori distinti, nitidi, che si fanno riconoscere. Il motivo è presto detto: tende a cucinare separatamente e ad amalgamare al momento della presentazione. Così il grosso pesce viene cotto al forno da solo e le verdure preparate a parte e unite all’ultimo momento. Per il polpo con i fagioli Beppe prepara una zuppetta semplice di fagioli di Conio o di Pigna, senza aggiungere la crosta di parmigiano - che ci vorrebbe - perché non copra il gusto del polpo, sapientemente cotto la sera prima. Mano esperta e occhio attento, sa rielaborare ciò che coglie. Ne è un esempio la sua filosofia del dolce. “Cerco di proporre dolci che mi piacerebbe trovare quando vado al ristorante, diciamo tradizionali rivisti”. La millefoglie di Beppe è gettonatissima, ma stuzzicano anche semifreddi come quel tiramisù alla nocciola in monoporzione, e poi la Sacher e le crostate (ricotta e marmellata di pesche, ricotta e cioccolato, tortone di pan di spagna cioccolato e pere…).

“La scelta o meno del dolce dice tutto del tavolo - fa notare Beppe -. La vendita del dolce al tavolo significa che non ti ho fatto aspettare, hai mangiato bene e che i miei ragazzi hanno venduto bene, cioè che si è lavorato come si deve”.
Ci sono luoghi che già in partenza si scelgono pensando  anche al dolce che ci attende. Sortire questo effetto sul cliente fa parte di quell’arte - sottile - di solleticare i bisogni e prim’ancora l’immaginario che, non dimentichiamolo, gioca una parte importantissima sul nostro cervello. Ma anche questa è un’abilità di pochi. Di dolci Beppe ne ha venduti e ne vende tanti!

 

— Simona Vitali

Tratto dal Magazine salaecucina.it